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La guerra di Israele contro Hamas, con focus su Netanyahu e Biden. Il messaggio natalizio di Giorgia Meloni e le riforme economiche in Argentina. Filippo Grandi dell’ONU sollecita un cessate il fuoco umanitario, mentre Lucia Capuzzi di Avvenire fornisce un resoconto da Betlemme. Tensioni militari tra USA, Iran e Hezbollah, e questioni economiche e sociali in Italia e Argentina.
Israele ammette le difficoltà nella guerra contro Hamas, sono giorni difficili ma non abbiamo alternative. Così questa mattina Netanyahu. Nelle ultime 48 ore l’esercito avrebbe perso 14 uomini.
Nuova telefonata tra Biden e il premier israeliano. La Casa Bianca non ha chiesto una tregua. Da ieri sera pesanti bombardamenti su diverse zone di Gaza, le autorità locali parlano di decine di morti nel centro e nel nord della striscia.
Le agenzie umanitarie chiedono ancora un cessato il fuoco umanitario per poter consegnare gli aiuti. Betlemme in Cisgiordania deserta anche alla vigilia di Natale. E buon Natale di serenità e orgoglio è il messaggio della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, dopo qualche giorno di influenza a tutti gli italiani via social media.
Una rivendicazione identitaria in due sole parole. Il caso del ministro Giorgetti, isolato e indebolito dal no al mess della maggioranza, ora deve tornare il 27 alla Camera per il vario in estremis della legge di bilancio da approvare entro fine anno. Le opposizioni ne chiedono le dimissioni ma vogliono ascoltare cosa dirà sul patto di stabilità emesso.
Ed è la vigilia di Natale in piazza per gli operai della Varsila di Trieste, dopo 18 mesi di lotta per non far chiudere lo storico stabilimento motori, la multinazionale non voleva prorogargli il contratto di solidarietà, anzi non vuole ancora, mentre a Monfalcone, a pochi chilometri di distanza, ieri c’è stata anche un’altra manifestazione, questa per il diritto al culto e alla religione. Buongiorno ascoltatrici e ascoltatori, le notizie delle ore 13 per questa domenica 24, dicembre si aprono con la guerra a Gaza. Secondo le autorità locali ci sono state decine di morti, anche queste ultime ore i bombardamenti, i combattimenti più intensi sono stati nel centro della striscia, nella zona di Deir el-Bala e nel nord a Jabalia, subito sotto il confine con Israele.
Nelle ultime 48 ore le vittime palestinesi sarebbero state 400, in aumento anche le vittime tra i militari israeliani. In studio ci ha raggiunto per gli ultimi aggiornamenti Emanuele Valenti. Buongiorno Emanuele.
Sì, le vittime israeliane delle ultime 48 ore, degli ultimi due giorni sarebbero 14, lo hanno detto i portavoci dell’esercito e da qui anche le parole di Netanyahu, che abbiamo sentito Claudio anche nei nostri titoli. È un momento difficile, stiamo pagando, lo devo ammettere, un prezzo molto alto, ha detto il premere israeliano, ma poi ha aggiunto che non abbiamo alternative nella guerra contro Hamas. Oltretutto questa mattina diversi analisti militari, intervistati dalla radio militare israeliana, hanno descritto nello specifico una situazione molto complessa e molto difficile proprio da un punto di vista pratico che stanno affrontando sul campo i soldati israeliani e alcuni hanno detto in effetti una situazione mai vista.
Un portavoce militare ha detto che l’esercito ormai è quasi il totale controllo del nord della striscia, ma ricordiamo che abbiamo sentito parole simili anche nelle scorse settimane, la stessa cronaca per esempio quello che sta succedendo a Jabalia, sembra contraddire questa posizione. Le agenzie umanitarie ormai lo fanno quotidianamente, continuano a chiedere un cessato il fuoco, questa mattina abbiamo detto come alcune agenzie e alcune organizzazioni internazionali parlavano dell’impossibilità di portare aiuti e questa mattina per esempio Filippo Grandi, che è il segretario dell’Agenzia ONU per i Rifugiati, ha detto ancora una volta l’unica cosa che serve è un cessato il fuoco umanitario. Il responsabile ONU per il diritto alla casa invece ha parlato, commentando le azioni militari israeliane, di un’impunità istituzionalizzata.
Ricordiamo anche, allargando un po’ l’orizzonte Claudio, per quanto riguarda il solito rischio allargamento del conflitto, è sempre intenso lo scambio di fuoco lungo il confine tra Israele e Libano, tra esercito israeliano ed Hezbollah libanese. Poi quello che è successo la notte scorsa nel quadrante tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. Gli Stati Uniti hanno intercettato quattro droni nel Mar Rosso, mentre hanno accusato l’Iran di aver lanciato un drone invece contro una nave commerciale in mare aperto nell’Oceano Indiano, a circa 370 chilometri dalla costa del Gujarat indiano.
Grazie Emanuele Valenti, in queste ore ci sono state anche nuove operazioni militari israeliane in Cisgiordania, a Betlemme, luogo simbolico delle festività natalizie, anche per i musulmani. La situazione è surreale. Poco fa abbiamo parlato con Lucia Capuzzi, inviata del quotidiano Avvenire, che si trova proprio a Betlemme.
Fa moltissimo effetto, piazza generatività, solo giornalisti, ognuno domanda all’altro, ma sei un turista, nella speranza di poter intervistare un turista, ma i turisti non ci sono. Non ci sono pellegrini, si attende qualcuno che arrivi più tardi, insieme al Patriarca e al Cardinale Krajewski, e poi alla messa stasera di mezzanotte. Però di fatto è un’atmosfera spettrale.
Io sono entrata adesso perché sta piovizzinando in un bar e sono l’unica cliente, è l’unico bar aperto, la maggior parte dei negozi sono chiusi, i negozi di souvenir. La gente è disperata perché Betlemme vive per un terzo della sua economia dal turismo. Una crisi del genere non c’era mai stata né durante l’intifada, ma neanche durante la recente pandemia.
Non si era mai vista la piazza della mangiatoia di fronte alla Chiesa della Natività vuota. In questo momento c’è un’iniziativa organizzata dal comune di solidarietà con Gaza, ha parlato il sindaco, i bambini stanno leggendo dei messaggi di solidarietà. Fa molta impressione vedere anche tutti i bambini che ti raccontano la loro tristezza effettiva per quanto sta accadendo a Gaza, proprio in questi giorni che normalmente per i bambini il Natale è uno dei giorni più attesi dell’anno.
La guerra in Ucraina, ci sono 4 morti e 9 feriti a Kherson, in sud del paese, per un attacco missilistico russo, lo hanno detto le autorità locali. La città vicina alla linea del fronte è da tempo il bersaglio dell’artiglieria di Mosca, le truppe russe stanno facendo una pressione forte e costante in diversi punti del sud e dell’est, da Kupyansk nella regione di Kharkiv fino alla periferia di Donetsk nel Donbass. E passiamo alla politica italiana, dopo l’influenza che l’ha costretta a casa nei giorni scorsi, la Presidente del Consiglio ha inviato il suo messaggio di auguri per un Natale di serenità e di orgoglio a tutti gli italiani, ma soprattutto a quelli impegnati nei servizi essenziali, come i militari in missione all’estero.
Lo ha fatto vestita di rosso e bianco, con un albero di Natale sullo sfondo, attraverso i suoi profili sui social media. Il 28 prossimo dicembre l’aspetta la conferenza stampa di fine anno, rinviata a causa dell’indisposizione, abbiamo chiesto un commento a Gianfranco Pasquino, merito di scienza della politica dell’Università di Bologna editorialista di Domani. Quali saranno i temi? La Melonia ha avuto in questa fase una grande capacità o comunque la volontà di addendare quello che non funziona ai governi precedenti e questo fa buon gioco perché non faceva parte di nessuno dei governi precedenti, è stata meno brava nel proporre delle soluzioni, deve fare i conti con un’Europa che continua a guardarla con un misto di interesse e di curiosità, ma anche con qualche preoccupazione, non tanto per lei in quanto tale, quanto per i suoi alleati, ma davvero crede che potrà influenzare i destini dell’Europa continuando a essere un po’ ambigua sul suo messaggio di passaggi, prima o poi deve lasciare Orban e lo lascerà oppure no, oppure continua a essere un punto di riferimento perché lui fa quello che lei vorrebbe fare, ma non può e l’altro quanto punta la Melonia davvero sul Premierato che ormai hanno criticato tutti, davvero vuole andare su quella strada che fra l’altro non lo sa neanche nel programma perché nel programma c’è scritto presidenzialismo che è una cosa totalmente diversa dal Premierato.
Il governo cerca di minimizzare il caso del Ministro Giorgetti sconfessato dal voto contrario del Parlamento sul mess, voluto e rivendicato da Salvini che ieri ha brindato con i suoi deputati al sovranismo con la formula noi siamo quelli di Firenze, cioè gli alleati della destra europea. Il 27 Giorgetti tornerà alla Camera per la discussione e l’approvazione in estremis della legge di bilancio con ancora mille emendamenti delle posizioni che gli chiederanno di rendere conto proprio del mess e insistono nel chiederne le dimissioni, il servizio. Di Massimo Alberti.
Alla Camera gli emendamenti un migliaio sono tutti delle opposizioni, ma dopo l’approvazione al Senato dell’emendamento per i fondi contro la violenza sulle donne probabilmente si andrà verso un accordo che permetta l’approvazione entro fine anno e di evitare quindi l’esercizio provvisorio. Il governo ha detto di non voler mettere la fiducia anche alla Camera, ma dipende molto da come si svilupperanno i lavori e di cosa dirà Giorgetti in commissione, qui le cose si complicano. Al di là della blindatura della manovra, la questione mess e patto di stabilità su cui Giorgetti non vorrebbe riferire al Parlamento potrebbe diventare dirimente non solo da un punto di vista politico.
Puramente politica è la questione mess, la cui bocciatura al di là dei toni apocalittici nulla cambia per l’Italia, tanto era il disinteresse anche in Europa che le minacce di non ratificare erano state sostanzialmente ignorate al fine di un patto di austerità, pardon, stabilità, che penalizza duramente l’Italia ma su cui il governo invece non ha battuto ciglio. Ecco, cosa comporta quel patto di stabilità per i conti italiani già dal prossimo anno, su cui il governo dovrà fare scelte per rispettare i parametri sul deficit? Sono domande su cui è bene che l’opposizione incalzi Giorgetti e traga poi le sue conseguenze, perché il combinato di questo patto di stabilità più la manovra senza crescita creerà non pochi problemi. Se il discorso manovra sembra chiuso in Parlamento, resta aperto nel paese, per quanto fin qui le manifestazioni sindacali si siano rivelate piuttosto deboli.
Il fronte più complicato e conflittuale è il mondo della sanità. Medici e infermieri continueranno la mobilitazione, con altre 48 ore di sciopero sul tavolo per gennaio. Le guidate saranno stabilite a breve.
Bocciato il mess, almeno fino all’elezione europea, visto che parte del governo non esclude rivedere la scelta in Europa, il confronto non è chiuso nemmeno sul patto di stabilità, c’è l’accordo tra i governi, ci sono quattro mesi per arrivare al voto dell’Europarlamento, il rinvio del confronto con l’Europa come del taglio dei debiti, in fondo è stato l’obiettivo del governo che continua a rivendicarne il successo, ma in che cosa consta il patto di stabilità? Il nostro collaboratore editorialista Andrea Di Stefano. Con il nuovo patto di stabilità il governo ha raggiunto quello che ritiene il risultato più importante, rinviare a dopo il voto per il Parlamento europeo il confronto vereale con la Commissione, ovviamente sperando che possa cambiare qualche equilibrio nella futura compagine che guiderà Bruxelles nei prossimi quattro anni, prospettiva alquanto remota, anche perché gli eventuali alleati della destra europea sono quasi tutti schierati con l’asse dei rigoristi. Nel secondo semestre del 2024 bisognerà quindi fare i conti, sia con la nuova procedura di deficit eccessivo, sia con il taglio a debito, in soldoni tra 20 e 30 miliardi di manovra correttiva, con una prospettiva di impegno pluriennale obbligatorio.
Gli scomputi ottenuti ancora tutti da definire potranno riguardare gli investimenti bellici, nuovi sistemi d’arme e simili, un po’ di spesa per interessi e per la transizione ecologica. Ma soprattutto il nuovo patto nasce sotto l’egida della discrezionalità con tutte le conseguenze finanziarie e politiche di un modello apparentemente meno rigido, ma molto più stringente nei numeri. Erano un migliaio stamani a Trieste in piazza Unità d’Italia per la manifestazione in sostegno ai lavoratori della Varsila, che da un anno e mezzo resistono alla chiusura della loro fabbrica da parte della proprietà finlandese, nonostante fatturate e commesse non manchino.
È uno degli ultimi stabilimenti industriali della città. Marco Relli, segretario della Fiondi Trieste, è intervenuto al presidio. È stata veramente grande sorpresa, piacevolissima, perché c’era stato un migliaio di persone.
È il giorno della vigilia, quindi abbiamo avuto proprio un abbraccio dalla città veramente eccezionale. Noi abbiamo chiesto l’impegno continuo, perché se non ci sono prospettive più incisive, diverse, andiamo a perdere tutto quello che è l’industria, l’indotto e la filiera. Trieste purtroppo di Varsile ne ha chiuse, un’azienda di qua, un’azienda di là, ne ha chiuse già cinque.
Ha chiuso il cantiere, la feriera, tutto. Era rimasta solo Varsile come grande industria che assieme teneva l’indotto e la filiera. Chiusa questa, Trieste muore, industrialmente parlando.
Io ho visto proprio la deindustrializzazione che sembra voluta. Parliamo anche di nomi blasonati che se ne sono andati da Trieste, perché la Drer, la Retrobel, la Stock, la Sand, senza parlare dei cantieri o dei calcider, che sono problemi anche diversi. E’ là il dubbio della volontà politica di industrializzazione.
Dobbiamo invertire questo, dobbiamo insistere su questo. Nessuno può pensare che ha finito qui il suo compito. Le altre notizie dagli esteri.
La Gran Bretagna sta per mandare una nave da guerra in Guyana in segno di sostegno militare e diplomatico al paese dell’America Latina da parte dell’ex potenza coloniale. La Guyana deve far fronte alle rivendicazioni territoriali del vicino Venezuela, riavanzate recentemente, su una zona ricca di petrolio e minerali. La nave britannica parteciperà alle esercitazioni militari subito dopo Natale.
In Argentina i prossimi giorni saranno decisivi per le drastiche riforme economiche volute dal neopresidente Millei. Sono attese decisioni del Parlamento, mentre l’opposizione, non solo politica, sta intraprendendo anche la via giudiziaria. Il decreto già approvato potrebbe, per esempio, arrivare fino alla Corte Suprema da Buenos Aires il nostro collaboratore Federico Larsen.
Il governo di Javier Millei ha convocato a sessioni straordinarie il congresso argentino a partire da martedì 26 dicembre e cerca l’approvazione di una serie di misure urgenti per il cambiamento dell’assetto economico del Paese. Secondo l’ordine del giorno, inviato dall’esecutivo la notte scorsa, si tratta di un progetto per riformare il sistema elettorale, uno intitolato Riforma delle funzioni dello Stato, ed un terzo progetto per ripristinare l’imposta ai beni personali ai lavoratori con reddito più alto. Ancora poco chiaro cosa succederà col decreto d’urgenza emanato mercoledì scorso e che da allora è il centro del dibattito politico in Argentina.
Il presidente, infatti, vorrebbe abrogare e riformare circa 300 leggi in un colpo solo per dare inizio al suo programma di deregolazione dell’economia. Il decreto impone seri limiti al diritto di sciopero in quasi tutti i comparti dell’economia, riduce i contributi padronali e le liquidazioni per licenziamento, deroga le leggi di promozione industriale e commerciale, vitali per le piccole aziende delle province del nord del paese e obbliga tutte le aziende pubbliche a trasformarsi in società per azioni per essere successivamente privatizzate. Per diventare definitive, però, queste misure devono essere approvate almeno da una delle due Camere del Congresso, dove il partito di Milley può contare su un esiguo numero di rappresentanti e negozia in questi giorni il sostegno di altri gruppi parlamentari della destra.
Intanto nelle strade continuano le manifestazioni spontanee contro il programma di governo. Per questo mercoledì 27 è stata indetta una giornata nazionale di mobilitazione contro le riforme volute del Presidente e si attende che le principali centrali sindacali indicano uno sciopero generale a breve. In Piemonte stanno ancora intervenendo i Canadair dei Vigili del Fuoco e più precisamente in Valsusa per spegnere l’incendio propagatosi da venerdì su una montagna in prossimità dell’abitato di Condove.
Le fiamme spinte dal vento hanno minacciato due frazioni. I Vigili del Fuoco hanno dovuto presidiare le case. Il vento fortissimo e caldo per la stagione soffia da tre giorni sulle fiamme.
Ha raggiunto i 120 chilometri della pende montana, addirittura il reco storico di 228 chilometri alla Sacra di San Michele, causando danni in tutta la valle e innescando anche diversi incendi, visto che le temperature del periodo hanno battuto tutti i record nella regione. Ma questo incendio, quello a Condove, propagato da un bosco in cima alla montagna, secondo i Vigili del Fuoco, sarebbe di origine dolosa.
I nomi delle persone menzionate nell’estratto:
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